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IL LIBRO
Alcuni
brani
"Dal capitolo 3"
Usciti
da quello studio medico camminavamo lungo i vialetti dell’ospedale
diretti all’uscita.
Come inebetiti, cercavamo di fermare i pensieri che scappavano
terrorizzati, come foglie in balìa del vento.
Quello che ci era stato detto era doloroso, come pietre tirate
sulla faccia, dalle quali non potevamo ripararci.
Non riuscivo a capire se fosse realtà o immaginazione:
queste cose non capitavano solo agli altri?
Di una cosa però ero sicura: non avrei permesso a nessuno
di fare del male alla nostra bambina.
Non mi importava se la gravidanza avrebbe accelerato il decorso
della malattia, né sapere che avrei potuto non risvegliarmi
dopo il parto. Erano rischi, non certezze. La mia bambina, invece,
era una certezza e la sua vita non valeva meno della mia.
Nessuna mamma al mondo, vedendo il proprio figlio buttarsi in
mezzo ad una strada trafficata, rimarrebbe ferma sul marciapiede
a riflettere se sia più o meno opportuno rischiare la
propria pelle per salvare quella del bambino. Per me è
stato così, anche se la mia bambina era ancora piccola,
come il semino di una mela.
Ma che miracolo può fare un seme, se gliene diamo il
tempo!
"Dal capitolo 5"
Nel
cuore dell’Africa, la notte sembra avere sempre una gran fretta
di tornare, e ogni sera, in pochi minuti, avvolge nel buio le
capanne.
Non si può descrivere qualcosa che toglie la vista, un
nero talmente profondo e denso che sembra di poterlo toccare.
Camminare nel buio africano è come andare incontro al
niente, ad un vuoto che ingoia.
Soltanto il suono dei tamburi, in lontananza, osa spezzare quel
silenzio assoluto.
Ma alzando lo sguardo si può restare senza fiato davanti
ad uno spettacolo tanto meraviglioso: il cielo è talmente
carico di stelle da non riuscire a contenerle. Così luminose
e così grandi che sembra di poterle toccare. Tanto numerose
da non trovare spazi liberi di cielo in cui fermare lo sguardo.
Una sera, dopo cena, ci sdraiammo tutti insieme nel prato, all’ingresso
della Missione di Muhura, per gustare quella che, per noi, era
la distesa di stelle più straordinaria che avessimo mai
visto nella nostra vita. Ce ne stavamo in silenzio, a contemplare
qualcosa che non avremmo mai più dimenticato, con la
sensazione che non potesse essere reale. Così, con gli
occhi persi in quel cielo, ci sembrava di sollevarci da terra
e di venirne avvolti. (Non so per quanto tempo restammo distesi
in quel prato, ma forse fu allora che mi riempii di pulci !).
Qualche mese fa, Ale appese nella sua camera una dedica, scritta
per lei dalla sua inseparabile compagna Olga. “Gli amici sono
come le stelle: non sempre riesci a vederli ma sai che esistono”.
I nostri amici non sono stelle qualunque: sono stelle africane.
Proprio quando è il buio a fare da padrone e si ha paura
davvero, eccoli, luccicanti come preziosi diamanti.
"Dal
capitolo 11"
Non è certo un‘impresa facile accompagnare un figlio
in quel viaggio avventuroso che è la vita. Lo teniamo
per mano dall’istante in cui lo guardiamo negli occhi per la
prima volta, cucciolo indifeso, fino a quando sarà uomo,
capace di scegliere in modo autonomo e responsabile.
È come far volare un aquilone: all’inizio bisogna correre
forte tenendolo ben stretto nella mano, in alto tanto quanto
il nostro braccio ci consente, finché l’aria comincia
a sollevarlo. Solo adesso si può mollare la presa, ma
è importante continuare a correre mantenendo il filo
corto. Questo è il momento più difficile e faticoso
ed è quello determinante per la riuscita del volo. Quando
l’aquilone ha preso quota, lo si affida alla forza del vento
perché lo sostenga.
Ora non è più necessario correre con lui. Bisogna
solo allungare il filo, piano piano, controllando sempre che
non perda quota.
L’aquilone andrà sempre più in alto e, col naso
all’insù, lo si potrà ammirare, austero, luccicare
al sole.
Un filo invisibile lo sostiene. E lungo quel filo corre l’amore
autentico che non si spezza, l’amore che dà vita, che
mai abbandona.
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